Giosuè Carducci

Giosuè Carducci nasce il 27 luglio a Pietrasanta e muore il 16 febbraio 1907 a Bologna.

La sua vita è fortemente segnata dalle vicessitidini del padre, Michele Carducci, studente di medicina a Pisa, uomo dalle forti passioni politiche, di tempra irascibile, tendenzialmente rivoluzionario.

Il nome Giosé fu scelto dal padre, in memoria di un caro amico che non vedeva da tempo, mentre alla madre ldegonda spettò il secondo nome, Alessandro, come suo padre in quel momento gravemente malato.

Il forte carattere del padre creò non pochi problemi alla famiglia, che si vide costretta nel 1838 a trasferirsi a Bolgheri. Qui il padre Michele ottenne una condotta nel feudo della Gherardesca.

Il piccolo Giosuè cresceva già mostrando in nuce le caratteristiche che lo contraddistingueranno per tutta la vita: ribelle, selvatico, amante della natura. All’età di tre anni egli stesso cita:

« Io con una bambina dell’età mia… a un tratto ci si scoperse una bodda (rospo ndr). Grandi ammirazioni ed esclamazioni di noi due creature nuove su quell’antica creatura… un grave signore si fece sull’uscio a sgridarmi… Io, brandendo la fune, come fosse un flagello, me gli feci incontro gridandogli: Via, via, brutto te! D’allora in poi ho risposto sempre così ad ogni autorità che sia venuta ad ammonirmi, con un libro in mano e un sottinteso in corpo, a nome della morale.»

A Bolgheri Giosuè fu colpito ripetutamente da febbri che lo tormentarono per un paio d’anni, mentre il padre lo accudiva, riempiendolo di chinino (un alcaloide naturale estratto dalla china ndr).

«Il chinino ingoiato gli lasciò straordinarie visioni. Originò da quella violenta cura l’impressionabilità della sua fantasia sensibilissima e quella irrequietezza che pareva a volte spasimo della sua psiche»

Casa Carducci, seppur povera, disponeva di una discreta biblioteca, in cui si riflettevano le predilezioni classico-romantiche e quelle rivoluzionarie del padre. Qui Giosuè poté voracemente impegnarsi nelle prime letture, e scoprire l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, la Gerusalemme liberata, la Storia romana di Charles Rollin e la Storia della Rivoluzione francese di Adolphe Thiers.

Nei dieci anni a Bolgheri la famiglia visse in povertà e non era possibile per Giosuè frequentare le scuole; il padre incaricò così il sacerdote Giovanni Bertinelli di dargli lezioni di latino durante il giorno, mentre la sera era direttamente Michele a impartirgli l’insegnamento di questa lingua che il giovane Giosuè amò profondamente sin dall’inizio.

Nascono così la “Satira a una donna” (1845) e l’appassionato “Canto all’Italia” (1847), entrambi in terzine. Il 1848 è l’anno del sonetto “A Dio” e del racconto in ottave “La presa del castello di Bolgheri”. Si dice che il ragazzo sapesse a memoria i primi quattro libri delle Metamorfosi, ma anche del Manzoni e del Pellico.

Ma anche a Bolgheri, col tempo, l’antica fede rivoluzionaria del padre era riaffiorata ed esplosa, e purtroppo, con essa, anche i guai. Bollato dal pievano come “mangiapreti”, “mangiaconti” e “mangiagranduchi”, fu costretto dal lugubre canto di alcune fucilate notturne, rimaste ovviamente misteriose, a lasciare Bolgheri e a riparare provvisoriamente a Castagneto.

Era il 2 giugno 1848: Giosuè aveva trascorso a Bolgheri quasi dieci anni, un arco di tempo importantissimo dall’infanzia all’adolescenza. A Castagneto i Carducci giunsero provvisoriamente, nella speranza di tornare a Bolgheri, ma la permanenza si protrasse quasi undici mesi.

Furono undici mesi di vivissime tensioni e ardenti passioni per il padre Michele, la cui intransigenza politica si intrecciava con il “quarantotto castagnetano”, che si configurava da tempo come una rivoluzione nella rivoluzione.

Il pensiero del padre Michele fu da prima esaltato e portato alle stelle dai maggiorenti locali, ma poi, quando si concretizzò la prospettiva di avere a livello solo 1500 “saccate di terra” da ripartire fra tutte le famiglie castagnetane, il rigore ideologico del dottore diventò un serio ostacolo.

La famiglia dovette migrare quindi a Lajatico, dove in breve si ripropose lo stesso problema. Gli avvenimenti convinsero definitivamente il capo famiglia Carducci a cercar rifugio nelle grandi città.

Davanti San Guido

La celebre “Davanti San Guido” è un’ode composta da Giosuè Carducci negli ultimi decenni del 1800. La datazione ufficiale è del dicembre 1874, ma sappiamo da fonti autorevoli e vicine al poeta che la poesia venne terminata nell’estate 1886.

Fu probabilmente la recente visita a Castagneto, dove aveva trascorso l’infanzia, a donargli l’ispirazione necessaria per portare a compimento la poesia, che fu pubblicata nella raccolta Rime nuove (1887).

L’opera trae spunto da un viaggio in treno compiuto dallo stesso Carducci per tornare a Bologna. Durante il viaggio, nel cuore della Maremma toscana, il poeta rivede i luoghi dell’infanzia, con i cipressi alti e schietti che da Bolgheri vanno all’oratorio di San Guido in duplice filare.

I ricordi della fanciullezza, evocati dalla visione dei cipressi e, per ultimo, dall’immagine quasi romantica di Nonna Lucia (la nonna paterna del poeta alla quale egli era particolarmente legato e che è sepolta nel piccolo cimitero di Bolgheri) si contrappongono al viaggio del poeta verso Bologna, dove l’aspetta la Tittì, la sua cara bambina.

Da un lato la tentazione di ritornare indietro nel tempo, in quel paesaggio che lo vide bambino; dall’altro l’impossibilità di tornare al passato, con il treno che continua rapido il suo viaggio.

Dopo la sua morte

Quando il 16 febbraio 1907 il poeta morì, insieme alla immediata delibera comunale di cambiare la denominazione di ”Castagneto Marittimo” in “Castagneto Carducci”, fu timidamente ventilata l’ipotesi di acquisire da parte del Comune una o entrambe le “case Carducci” di Bolgheri e di Castagneto, a somiglianza di quanto già avvenuto, con Carducci ancora vivo, a Bologna.

La casa di Bolgheri non venne presa in considerazione, dato lo scarso credito goduto dal Carducci presso i Gherardesca. L’acquisto di quella di Castagneto fu vivamente auspicato da tutti, ma c’era un ostacolo insormontabile: i dodici anni della proprietaria Antonietta Espinassi Moratti.

La prospettiva si dileguò perciò nel mondo dei sogni: anzi, quando giunse la maggior età della proprietaria, imperversava la grande guerra e per i sogni non c’era più spazio.

Oggi finalmente il sogno si realizza, per mano della figlia dell’Antonietta ancora minorenne, Maria Bianca Cancellieri, la quale, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, ha provveduto a ripristinare l’appartamento. Nel mese di giugno 1992, quasi un secolo e mezzo dopo la prima permanenza, Carducci è tornato di nuovo cittadino di quel comune della “sua” Maremma che tanto aveva inciso nella sua formazione e sulla sua opera poetica.

Il poeta Giosuè Carducci da giovane, ritratto in una foto d’epoca

Insegna in Bolgheri che ricorda il soggiorno del poeta di dieci anni 

Statua di Nonna Lucia, alla quale Giosuè dedica una parte della poesia Davanti San Guido

Il celebre Oratorio di san Guido, all’inizio del viale dei cipressi di Bolgheri

Il suggestivo viale dei cipressi che conduce da San Guido a Bolgheri, che ha ispirato il Poeta

Vista di Castagneto, dove il poeta visse per 11 mesi, prima di lasciare definitivamente questi luoghi